
La
        piu' bella pagina della Storia di Serrapetrona è stata scritta dai frati francescani che
        hanno lasciato la monumentale chiesa e al cui mecenatismo si debbono le preziose opere
        d'arte in essa custodite. Tutta la costruzione si articola in un grande quadrilatero
        composto, sui tre lati a monte, dal convento e su quello a sud dalla chiesa, il tutto
        sostanzialmente conservato fino ad oggi. Al centro è il chiostro con le arcate su tre
        lati chiuse. La parte piu' considerevole è il lato ovest con una monofora trilobata e una
        finestra ad arco ribassato a conci di travertino; una seconda analoga finestra è sulla
        fronte che guarda il piazzale esterno: tutti resti del '300. 
La chiesa, senza facciata, si salda a questo corpo al disopra di un profondo arco
        di accesso al convento. Lo stile del tempio è quel gotico francescano tipico dell'Italia
        centrale, particolarmente delle Marche e dell'Umbria, in varie versioni. La fiancata
        esterna è scandita da quattro lesene di travertino a conci regolari e da tre monofore; ha
        due ingressi incorniciati da portali di epoche diverse. L'abside rientrante ha pure una
        monofora ed è stata rialzata rispetto alla costruzione originale. Il campanile,
        ricostruito nei primi decenni di questo secolo in forme goticheggianti ed infelicemente
        coronato da anacronistico merlatura, lega malamente col plesso monumentale. Tutta la
        chiesa subì dei restauri negli anni 1958-1961: ripristinate le monofore, ricostruita
        quella centrale, gettato l'intonaco sul muro grezzo tra le paraste, ripulito l'interno e
        liberato in parte dalle soffocanti strutture barocche. L'interno è ad unica navata (m.
        25x8,32) con capriate scoperte, abside a pianta quadrata con volta a crocera su costoloni,
        delimitata da un arco trionfale a sesto acuto. Dei sette altari ricordati nel '700
        rimangono, non tutte, le inquadrature di fastoso barocco. All'ingresso di fondo bella
        acquasantiera di marmo bianco. La parete corrispondente alla facciata mancante è occupata
        dall'antico organo e dall'ampia cantoria, il cui parapetto cinquecentesco di noce fu
        decorato nel '600 - '700 da nove tele dipinte, alcune mediocremente, con sette figure di
        santi ed al centro Madonna col Bambino e Deposizione. All'inizio della parete sinistra è
        stato disposto il battistero di pietra di gesso al posto di un altare dedicato a S.
        Antonio di Padova dal generale dell'Ordine Conventuale Giovanni Pico di Serrapetrona nella
        seconda metà del '500, come si legge sul timpano: DIVO ANT. PATA. FR. 10. PICV. GNLS
        DICAVIT (1). Il piccolo leone gotico di marmo bianco (50x50) con la testa e il fianco
        sinistro mutilati, giacente in terra, fu rinvenuto presso il ponte ai piedi del paese nel
        1950 (fig. 9). Segue l'arcosolio col cenotafio del beato Giovanni della Martella (1 66x
        175) affrescato da un ignoto pittore del '300 - '400 con sul fondo una Madonna in trono
        che porge il Bambino al beato genuflesso e a mani giunte; negl'intradossi: a sinistra S.
        Chiara, a destra il Salvatore. Tutta la figurazione è stata meschinamente ridipinta e
        solo la S. Chiara sembra rimasta come la volle l'autore. Nel sottarco è la scritta Beatus
        Ioannes cuius ossa hic quiescunt / obiit 28 februarii 1331 (2). Sul davanti del sarcofago
        è scolpito il martello. Lasciando il luogo in seguito alla soppressione napoleonica
        (1808) i frati asportarono il corpo del beato. A questo fatto si riferisce l'iscrizione
        recentemente posta ai piedi della Madonna: Qui per cinque secoli giacque e fu venerato il
        corpo del beato Giovanni / della Martella di Serrapetrona fondatore di questa chiesa e del
        convento. / Morì il 28-2-1331. Sull'altare che segue, dedicato a S. Antonio Abate, è una
        tela rappresentante la Vergine col Bambino e quattro santi, tra i quali Carlo Borromeo e
        Antonio ab. e angeli, assegnata al pittore serrano Gianfrancesco Claudi (sec. XVII),
        attribuita dal Bittarelli al camerinese Luigi Valeri (1701-1770 c.). Dopo il secondo
        altare nel novembre 1979 venne sistemato alla parete l'affresco (150x170) con la
        Resurrezione di Cristo scoperto, in occasione della rimozione del polittico, sul fondo
        dell'abside il 12 aprile 1961 e restaurato ad Urbino nel 1975. Gesu' è in piedi davanti
        al sepolcro con la destra benedicente e nella sinistra un vessillo bianco crociato,
        fiancheggiato da due angeli; dalla parte perduta a sinistra, alquanto in alto affiora la
        Madonna, all'estrema destra S. Caterina d'Alessandria; in basso a sinistra due soldati
        assonnati, a destra un terzo soldato addirittura coricato nel sonno. In tutto otto figure.
        L'opera, ma particolarmente la figura del Cristo con l'abito bianco decorato a fiori
        stellari, ci richiama all'affresco del Cappellone di S. Nicola a Tolentino con la morte
        del santo: quindi anche il nostro è stato eseguito, a giudizio del Vitalini Sacconi, da
        seguace locale della scuola giottesco-riminese intorno al 1340, poco tempo dopo la
        costruzione della chiesa (fig. in copertina). Nell'edicola, già altare, dell'estradosso
        sinistro dell'arco trionfale è una tela dipinta con Madonna e Bambino di buona maniera
        secentesca venerata col titolo di Mater boni consilii. Entriamo nel presbiterio. L'altare
        maggiore, ricomposto in miglior forma negli ultimi restauri, conserva l'originale
        monolitica mensa (260x 157x 15) e le colonnine agli angoli. Sul davanti del pilastrino
        centrale di sostegno è stata fissata la formella con l'Agnus Dei tra quattro palme
        (40x30), già esterno della chiesa sopra l'ingresso principale. Il coro cinquecentesco di
        noce gira su le tre pareti con bel tronetto al centro fiancheggiato da due colonnine
        scolpite a tralci e grappoli e sormontato da un timpano del '700. Al disopra di questo,
        sulla parete è la piu' superba opera d'arte di Serrapetrona: il polittico di Lorenzo d'Alessandro da San Severino (not.
        1462-1503) con la finissima incamiciatura gotica a traforo dorata culminante in guglie ed
        esili pinnacoli (470x321). La figurazione si sviluppa su due piani con in basso la
        predella. Nel primo piano a figure intere campeggia al centro la Vergine in trono col
        Bambino sulle ginocchia sotto un baldacchino e tra due angeli, ai lati i SS. Giacomo e
        Pietro, Francesco e Sebastiano; nel piano superiore, a tre quarti di figura, il Cristo
        morto sorretto da due angeli con ai lati i SS. Caterina d'Al. e Michele Arc. Giovanni B. e
        Bonaventura; nella predella i dodici apostoli con alle estremità i SS. Agnese e
        Apollonia, Nicola da Tolentino e Lucia a figura intera ma di proporzioni ridotte. Sotto le
        figurine sono segnati i nomi (fig. 12). L'opera, già attribuita all'Alunno e ad altri, è
        stata restituita dal Perkins e dal Berenson a Lorenzo d'Alessandro. L'autore vi segue il
        modulo del polittico che il pittore folignate eseguì l'anno 1468 per San Severino (oggi
        in quella Pinacoteca Civica) realizzando un'espressività dolce e piacevole (Zampetti). La
        Pietà al centro del piano superiore è forse la cosa piu' bella con la sua forte
        intonazione crivellesca. Lo stile dell'insieme giustifica l'appartenenza alla fase tarda,
        se non estrema dell'operosità dell'artista (Zampetti). E sembra dia ragione allo Zampetti
        Roaul Paciaroni il quale ha trovato di recente quietanze di acconti pagati al pittore per
        il polittico (3) nel 1489 e nel 1493 da Polonio Nanzanelli per conto dei frati, mentre
        Mariano di gentile da serrapetrona versò il saldo a lavoro compiuto il 20 febbraio 1496,
        data che dovrebbe correggere il 1494 letto dal Ricci forse sotto la parte centrale della
        predella. L'opera ebbe un primo restauro da Tullio Brizi nel 1949, un secondo nel 1961
        prima che partecipasse alla Mostra Crivelli e Crivelleschi al palazzo ducale di Venezia
        (10 luglio - 10 ottobre 1961). Sulle pareti laterali dell'abside e sugli spicchi della
        crocera notevoli tracce di affreschi anonimi settecenteschi con i 4 evangelisti, la sacra
        famiglia e le stimmate di s. Francesco. Sull'estradosso destro dell'arco trionfale entro
        nicchia è una Crocifissione dipinta su tavola (160x100), opera di anonimo marchigiano
        della seconda metà del sec. XIII che ebbe possibilità di vedere ed apprendere oltre i
        confini della regione. L'epoca ed alcuni caratteri comuni di ispirazione giuntesca nelle
        figure della Madonna e del S. Giovanni l'accostano al pure anonimo Crocifisso del Convento
        delle Clarisse a Matelica. Queste figure minori, finemente descritte, hanno slancio di
        linea (che nel San Giovanni si flette nelle volute calligrafiche originali e piacevoli del
        panneggio), volti affilati, minuta grafia dei tratti e pungente angolatura delle
        sopracciglia con certa originalità ed autonomia nel comporre a suo modo la figura del
        Cristo (Vitalini Sacconi). La tavola, restaurata nel 1971, fu esposta a Macerata nella
        Mostra della Pittura nel Maceratese dal duecento al tardo gotico (fig 10). L'affresco
        della parete destra, sotto la monofora, opera di anonimo marchigiano della fine del sec.
        XV, rappresenta la Vergine in trono col Bambino che infila l'anello al dito di S. Caterina
        d'Alessandria (140 x 120). L'opera presenta analogie con le Madonne degli affreschi di
        Colle d'Altino e di Sentino non esenti da influssi della scuola camerinese (fig. 13). In
        alto, lungo le pareti, sono distribuiti otto medaglioni entro comici barocche di stucco, i
        due piu' vicini all'abside dipinti a guazzo, gli altri sei su tela e di piu' esperta mano,
        tutti del '700, con soggetti vari: Crocifissione, S. Giorgio e la Principessa,
        Flagellazione, ecc. 
        La sacrestia ha pianta quadrata e volta a crocera su costoloni in cotto. Sulla pietra di
        fondo del lavabo è incisa la data: ANNO DOMINI MCCLXXIIII. Questa data, 1274, ci fa
        supporre che il lavabo fosse stato qui trasportato dalla primitiva chiesa e convento di S.
        Michele arc. di Ventigliano. Oggetti notevoli sono l'armadio di noce con alzatina del
        '400, una tela con l'Immacolata fra i SS. Clemente e Lucia di buon pittore settecentesco.
        Oggetto degno della massima considerazione è una croce stazionale-reliquiario (46x38) che
        riteniamo di dover attribuire alla bottega di Gherardo di lacopo Cavazza argentiere
        bolognese operante a Camerino nel 1326: accesa di vivaci figurazioni sotto smalti dominati
        da abbaglianti colori come il turchino, il verde, il rosso, il giallo. Trafugata e
        spogliata delle gemme e pietre preziose, poi recuperata, fu parzialmente fatta restaurare
        nel 1555 dal serrano Giovanni Pico già ricordato ministro generale dei Conventuali, come
        dice l'iscrizione sul retro in alto: ORNAMENTA FV / RES CRVCI FURA / TVR. A FRATRE /
        IOANNE PICO / PICENI MINIS / TRO SVA PECV / NIA EIDEM / AFFIGI CVRA / NTVR / MDLV (4).
        L'iscrizione, sempre sul verso in basso a caratteri gotici, conteneva forse nelle due
        prime righe la data e il nome dell' argentiere, ma andarono parzialmente perdute
        nell'occasione del furto. Se ne può ricostruire solo il nome del committente, Ugolino di
        Andrea, anch'egli di Serrapetrona e provinciale dell'Ordine Conventuale nella Marca, che
        dal Civalli sappiamo eletto a quella carica nel 1379. Il Serra attribuì questa croce ad
        un Cecco da Camerino, orafo, egli dice, del sec. XIV, che il Romani trasferisce al sec.
        XV. Di costui non si altra notizia ed è probabile vada identificato con quel maestro
        Cecco da Camerino, del quale per altro non è specificata la professione, ma è nominato
        come padre dell'argentiere e fonditore Gentiluccio ricordato dal Ricci senza alcun
        riferimento ad opere da lui eseguite. A questi, dunque, piuttosto che al padre, potrebbe
        appartenere il lavoro, o comunque a un allievo, che non è facile pensare fosse lui
        stesso, di quella scuola di orefici che dal Cavazza - fattosi camerinese in un momento di
        grande prestigio della città per la potenza acquisita dai Da Varano - avevano appreso
        l'arte di unire all'incisione e allo sbalzo dei metalli i nielli e gli smalti (fig. 11).
        Lo smalto è in parte scrostato. Restano segli di doratura, pietre dure disseminate lungo
        la lamina che ricopre lo spessore, come l'agata e il corallo, vetri colorati. Di agata
        sono i globi sulla punta delle cuspidi dei bracci trilobati e misurano 22 mm. Scomparso è
        il grande cristallo di rocca ( cm. 5 di diametro ) sul culmine dell'asta verticale. Sul
        retto, lungo l'asta verticale dall'alto in basso, sono individuabili le figure dei SS.
        Giovanni ev., Giovanni B., Antonio da Padova, il Crocifisso; Sul braccio trasversale
        Clemente (?) e Andrea ap.(?); alle estremità quattro pavoni e cinque angeli (uno è
        perduto); sul verso lungo l'asta verticale i SS. Giacomo ap., Francesco che riceve le
        stimmate; sull'asta trasversale Michele arc. e Annunciazione e alle estremità trilobate
        tracce di fogliame d'acanto e sei angeli. 
(1) Fra Giovanni Pico dedicò a S. Antonio di Padova.
(2) Il beato Giovanni, del quale qui riposano le ossa, morì il 28 febbraio 1331.
(3) ... occasione cuiusdam cone per ipsum magistrum Laurentium factum pro ecclesia Sancti Francisci de ... Serra.
(4) I ladri rubarono gli ornamenti della croce, fra Giovanni, ministro provinciale del Piceno, provvide a rimetterli a sue spese nel 1555.